La chiusura: motivazioni– Costo dell’energia, sterlina forte, incremento delle importazioni ed abbassamento dei prezzi. Sono questi quattro, elencati in ordine sparso, i motivi per i quali Tata Steel ha deciso di abbandonare la vergella a Rotherham. Lo ha spiegato la stessa azienda in un comunicato risalente a pochi giorni fa. «Tata Steel – scrive l’azienda – annuncia un piano per rifocalizzarsi sul business delle specialty e delle barre, puntando a mercati ad alto valore aggiunto come quello dell’aerospaziale». Questo obiettivo sarà perseguito tramite la riduzione del numero degli addetti del sito di Rotherham (con un taglio dell’occupazione di 720 unità), che ha avuto performance negative a causa «delle importazioni di acciaio commodity in Regno Unito, aumentate a causa della sterlina forte» e del costo dell’elettricità «che è il doppio di quello dei competitor europei». Da qui la decisione di “rottamare” la produzione di vergella che, da qualche esercizio, produceva perdite per Tata.
Il futuro del sito di Rotherham, quindi, sarà contraddistinto dalla qualità, come ha spiegato il managing director della divisione delle barre e degli acciai speciali di Tata Steel, Mark Broxholme. «Abbiamo iniziato il processo di focalizzazione nel business degli acciai speciali nel 2009, lavorando per realizzare acciai di alta qualità impiegati in applicazioni dove la sicurezza è un elemento critico. Questo nostro impegno ci ha portato a significativi investimenti nella capacità di realizzare acciai ad alto valore aggiunto per l’industria aerospaziale e per altri business molto esigenti sotto il profilo della qualità. Oggi siamo i terzi maggiori fornitori mondiali di acciai per l’industria aerospaziale e vogliamo continuare a crescere ed a costruire in questi settori».
Italia: volumi e prospettive– Come detto, l’Italia è il maggior cliente della «gamma Rotherham», con oltre 48.000 tonnellate acquistate nel 2014. Negli ultimi 5 anni i volumi comprati dall’Italia sono saliti costantemente, con la sola eccezione del 2012. Nel 2010, infatti, l’export britannico verso il Belpaese fu di 19.419 tonnellate, per poi salire a 24.500 tonnellate l’anno successivo, scendere a 22.224 nel 2012, crescere a 32.729 tonnellate nel 2013 ed arrivare, appunto, a 48.736 tonnellate l’anno scorso. Nel quinquennio analizzato, l’aumento percentuale dell’import tricolore è stato del 151,0%. Andando ancor più nel dettaglio, nel 2014 gli acquirenti italiani hanno comprato 32.393 tonnellate di vergella in acciai al carbonio (+109,3% rispetto al 2010) e 16.343 tonnellate di acciai speciali (+314,2%).
Parlando del mercato interno, quindi, la mancanza del fornitore inglese libererebbe, almeno in linea teorica, quasi 50.000 tonnellate annue per i produttori italiani. La gamma produttiva realizzata da Tata, infatti, è perfettamente alla portata dei siderurgici nazionali, che pertanto potrebbero beneficiare dell’uscita dal mercato dell’acciaieria britannica. C’è, però, un “ma”. Una corposa parte delle importazioni italiane di vergella inglese è composta da prodotti in acciaio al piombo. Non ci sono dati ufficiali a riguardo, ma, secondo quanto appreso da alcuni operatori, i volumi pre-crisi si sarebbero attestati attorno alle 2.000 tonnellate mensili. Se stimiamo una contrazione del 25%-30% del mercato, otteniamo quindi volumi per circa 1.400-1.500 tonnellate mensili (16.800-18.000 tonnellate annue) di acciai al piombo, prodotti che non vengono realizzati in Italia per vari motivi, non ultimo quello ambientale. Dalle 48.000 tonnellate iniziali, quindi, il mercato aggredibile per i siderurgici nazionali scende a circa 30.000 tonnellate, pari a circa lo 0,95% del consumo apparente italiano di vergella nel 2014 (dati Federacciai). Sicuramente numeri non entusiasmanti ma che, in un momento di difficoltà per il comparto
Conclusione– La chiusura di Rotherham, per il comparto europeo della vergella, rappresenta una perdita di circa 330.000 tonnellate di prodotti all’export e di una quota probabilmente inferiore di materiale destinato al mercato interno. Nel 2014 la produzione europea di vergella è stata di circa 19 milioni di tonnellate, quindi le 330.000 tonnellate che mancheranno all’esportazione rappresentano circa l’1,7% del mercato continentale del prodotto. In una situazione asfittica per i consumi, questi volumi rappresentano comunque un sollievo (anche se contenuto) per i produttori rimasti sul mercato che, sempre se riusciranno ad arginare la marea cinese all’import, potranno alzare i giri dei propri motori. Per l’Italia, le possibilità di crescere ci sono, anche se con due “intoppi”. Il primo riguarda l’acciaio al piombo che non produciamo, ma che altre aziende come ArcelorMittal, Celsa, Swiss Steel o Saarstahl potranno fornire ai clienti italiani ed europei. La seconda incertezza è relativa alla gamma ed alla qualità: l’Italia, ad oggi, è focalizzata sull’export di vergelle in acciai speciali, mentre la gran parte del mercato di Tata era per vergelle in acciai comuni. Riusciranno i gruppi italiani a esportare a prezzi competitivi questi prodotti nei mercati una volta coperti da Tata, nei quali, tra l’altro, c’è già una presenza tricolore (soprattutto in Germania e Francia)? Solo la risposta a questa domanda potrà dirci se la “mors sua” di Tata si trasformerà in una “vita mea” per le acciaierie nazionali.