È difficile che la produzione siderurgica di Pechino superi la punta del 2014 – Però l’import di minerale di ferro salirà ancora, fino a un miliardo di tonnellate, senza tuttavia condurre a un solido aumento delle quotazioni.
Non c’è solo il petrolio sotto i riflettori di chi segue le commodities e le società che le producono. Una materia prima che per un decennio ha gonfiato gli utili dei grandi gruppi minerari – in particolare la brasiliana Vale, le australiane Rio Tinto, Bhp Billiton e Fortescue e la sudafricana Anglo American – è il minerale di ferro, la base per produrre acciaio in altoforno. La sua fortuna si lega a doppio filo con la crescita esponenziale mostrata dalla siderurgia cinese, che è arrivata a produrre quasi la metà di tutto l’acciaio mondiale.
La domanda che ora si pongono analisti, dirigenti delle minerarie e gestori di fondi d’investimento è semplice: la produzione e la domanda cinesi di acciaio hanno toccato ormai il loro tetto massimo? Nel 2014 Pechino ha prodotto 822,7 milioni di tonnellate, record assoluto, ma appena dello 0,9% superiore all’anno precedente, il tasso di crescita siderurgica più basso da 33 anni.
Quanto alla domanda, secondo i dati cinesi è stata alimentata dal balzo delle esportazioni, che hanno avvicinato 80 milioni di tonnellate. Invece i consumi apparenti (produzione+import-export) sono scesi del 3,4%, a 738 milioni di tonnellate. Il picco sembra già alle spalle, dunque, se si considera che la crescita economica del Paese per l’anno in corso è prevista in flessione al 7% e se si pensa che l’offerta di case residenziali supera la domanda (l’edilizia è uno dei settori trainanti della richiesta di acciaio). Anche la pressione per ridurre le emissioni inquinanti può accelerare il calo della produzione.
L’insieme delle statistiche e lo scenario generale suggeriscono che il settore siderurgico in Cina sia destinato a un periodo di relativa stasi, che potrà durare anche a lungo, con i consumi pro capite stazionari. Le grandi minerarie probabilmente si aspettavano una tendenza più favorevole. Bhp e Rio Tinto in realtà ritengono ancora che la domanda cinese di acciaio salga a un miliardo di tonnellate annue nel decennio 2020-2030.
La loro previsione giustifica l’espansione dell’attività estrattiva, anche se da diversi mesi l’offerta di minerale di ferro è in forte eccedenza e le quotazioni sono in ribasso. I prezzi indicatori infatti hanno iniziato il mese di febbraio a 61,30 dollari per tonnellata, il minimo da oltre cinque anni. Rispetto alle punte del 2011, sono tre volte più bassi.
La strategia delle miniere è molto simile a quella adottata dai Paesi Opec: produrre di più, limando al massimo le spese, per eliminare dal mercato le società che non riescono a ridurre i costi d’estrazione. L’obiettivo principale è quello di ridimensionare la produzione cinese di minerale di ferro, che è consistente, ma non concorrenziale con quella dei big. Le stesse considerazioni possono essere replicate per il carbone.
Secondo la Cisa, China Iron and Steel Association, le mosse dei gruppi minerari, unite ai prezzi economici, spingeranno l’import cinese di ferro fino a un miliardo di tonnellate quest’anno, il 7,1% in più rispetto al 2014. E Vale, Rio e Bhp potranno espandere la loro quota dell’import cinese dal 77 all’80%, proprio grazie all’inferiore produzione cinese di minerale.
La scelta dei big sembra quindi vincente. Resta però lo stesso neo che affligge i produttori di petrolio: i prezzi bassi possono anche tenere alte le vendite, ma purtroppo assottigliano gli utili e sembra difficile che quest’anno escano dalla fascia compresa tra 60 e 75 dollari per tonnellata.
Fonte: FirstOnline.info